Dovessi giudicare il social lending dal mio punto di vista, è una esperienza utile e interessante. Ma dal punto di vista del bene comune, sono convinta che il social lending rappresenti una opportunità concreta per incrementare la responsabilità e la democrazia diretta nel mondo in cui viviamo. Lì dove la finanza è caratterizzata proprio dalla mancanza di trasparenza, il social lending al contrario, riduce il potere degli intermediari e, conseguentemente, rende il credito trasparente e responsabile. Una piccola utopia realizzabile, alla portata di tutti, che potrebbe portare a un cambiamento piccolo ma concreto. La somma di questi piccoli cambiamenti potranno, col tempo, portare a un grande cambiamento.
Ci sono ragionevoli ipotesi che la struttura di Sociallending possa, una volta testata col target pilota, essere un ottimo strumento di agevolazione al prestito sociale anche per altri soggetti a rischio trappola della povertà e esclusione sociale. Sociallending rappresenta una opportunità di mercato perché il progetto pilota partirà dalla provincia di Frosinone e coinvolgerà i giovani imprenditori immigrati regolarmente residenti in questo territorio.
Dai primi dati si evince che la provincia di Frosinone rispetto alle altre provincie laziali è quella con il valore più alto, in termini percentuale, di occupazione precaria dei giovani immigrati, ma nello stesso tempo, è la provincia con il valore più alto di istruzione superiore. A livello assoluto le potenzialità di incremento economico per i giovani imprenditori immigrati è pari al 0,30% rispetto ai giovani imprenditori italiani.
Il posizionamento rispetto alla concorrenza rispetto alle due piattaforme di crowdfunding lending based presenti in Italia e dato proprio dal nostro servizio di social network; esso sarà il primo nel suo genere in Italia che mette in Startuppers e Lender, esercitando una attività di social lending in microprestiti senza fornire servizi di pagamento e spese di intermediazione finanziaria.
Le cifre indicano che il social lending piace agli italiani. Ma a causa dei servizi di pagamento e delle spese di intermediazione finanziaria potrebbe essere un sistema troppo oneroso. Analizzando ciò che fanno i nostri competitors in Italia ( Smartika e Prestiamoci ) sappiamo di certo che chi ha chiesto un prestito sociale ha pagato un Taeg dell’8,65% (con punte minime del 5,1% e massime del 13,5%), tramite Smartika e un tasso medio pagato sulla piattaforma Prestiamoci ( che divide i prestatori in tre classi di rischio con tassi al 7,5%-10%-12,5%) è del 9,24% (con punte minime del 7,13% e massime del 17,85%) [ Fonte Sole24ore].
Purtroppo tutto ciò è dovuto proprio alla natura di istituto finanziario che Banca D’Italia impone; Sociallending non essendo obbligato alla iscrizione come istituto di pagamento, proprio in virtù del principio che non sarà intermediario che farà circolare denaro e non incasserà tra Lenders e Startuppers, riuscirà così ad abbattere i costi delle operazioni. In più grazie a questo vantaggio competitivo sia che si scelga di stare dalla parte dei debitori che dei prestatori non saranno previste commissioni. Prestiamoci applica ai richiedenti una commissione dell’1,2% sull’importo richiesto mentre per i prestatori la commissione è pari allo 0,8% sul transato (la liquidità mensilmente rimborsata). Smartika trattiene l’1% ai prestatori e ai richiedenti un tasso variabile che va dallo 0,5 al 2,5% a seconda della classe di merito creditizio. L’accesso al credito sarà così più veloce e possibile anche per chi ha un lavoro precario.
In un contesto così poco incoraggiante, da parte dei piccoli imprenditori ( specialmente immigrati ) diventa necessario rivolgersi a forme di finanziamento alternative, pur applicando tassi indubbiamente più elevati, offrono una maggiore sensibilità solidaristica. Sulla rigidità di alcune norme e sulla pesantezza che ne deriva a livello amministrativo, le organizzazioni imprenditoriali sono intervenute a più riprese e il mondo politico,
non è riuscito a rispondere alle attese in maniera adeguata. La propensione alla creazione di nuove imprese da parte degli immigrati è un tema complesso, solo in parte associabile al concetto di imprenditorialità in generale,
cioè alla scelta degli individui di avviare una attività economica in proprio. Nel caso dell’Italia, qualche indizio per elaborare un profilo degli aspiranti imprenditori immigrati è stato raccolto grazie al progetto Start it up – nuove imprese di cittadini stranieri ( Unioncamere e Ministero del Lavoro) realizzato nel 2012 in alcune regioni dotate di dispositivi di incentivazione alla creazione d’impresa. All’interno di esse, sono stati attivati i servizi delle 10 Camere di Commercio ( tra cui quella di Frosinone) corrispondenti ai territori provinciali con la maggiore concentrazione di immigrati non comunitari. Non mancano i soggetti il cui obiettivo è entrare in mercati potenzialmente emergenti: commercializzazione e posa di pannelli solari, la vendita di prodotti dell’agricoltura biologica, attività di import / export; dall’altro si rinvengono progetti innovativi più vicini al mondo artistico culturale degli immigrati: ludoteca multietnica/ multiculturale, scuola di danza africana, servizi di traduzione linguistica. Il lavoro autonomo è percepito come un’opportunità di superamento di una situazione di svantaggio sociale.
Sul tema del credito le risposte degli imprenditori e degli artigiani immigrati appaiono piuttosto differenziate. Da un lato, una parte degli intervistati dichiara che si tratta di un problema difficile per tutti. Dall’altro numerose risposte segnalano che per gli immigrati è più difficile accedere al credito di impresa. Anche se attualmente un milione e mezzo di cittadini stranieri è già cliente di una banca va proseguito il cammino verso una piena cittadinanza economica poiché il perdurare degli ostacoli al credito agli imprenditori immigrati potrà incidere molto negativamente sulle prospettive di integrazione socio-demografica in Italia.
Trattandosi di risultati ancora provvisori, è evidente che la stagnazione della domanda e i venti di crisi si sono abbattuti con violenza anche sull’imprenditoria immigrata. Le percezioni trasmesse dai soggetti più deboli iniziano a segnalare anche difficoltà per i progetti migratori. Una situazione che richiederebbe misure ed interventi eccezionali, perché a rischio è il potenziale produttivo dell’economia italiana nel suo complesso.
Dai dati in nostro possesso sappiamo che alla fine del 2013 erano all’incirca 497.000 le aziende condotte da immigrati, pertanto il fenomeno che si sta delineando è veramente interessante da un punto di vista della autoimprenditoria e della microimpresa. Siamo ancora lontani dalle linee guida dell’Europa trasmesse con il piano di azione sull’imprenditoria 2020, ma possiamo andare sicuramente in quella direzione.
Questo per dire cosa: quelli tra gli immigrati che si vogliono promuovere autoimprenditori rappresentano sul territorio circa il 6,1% del valore aggiunto dell’intera economia, quindi da subito va da se che è un fenomeno che deve essere valorizzato; in secondo luogo non possiamo mettere da parte un’altra informazione importante desunta: il fattore di internazionalizzazione del sistema imprenditoriale italiano. Secondo una indagine condotta dal CNEL il 16% delle imprese immigrate intrattiene contatti con i paesi di origine; ci sono degli scambi che possono dare anche alle aziende italiane, all’imprenditoria italiana delle opportunità di crescita e di internazionalizzazione.
Su che cosa si deve puntare dunque: incentivi alla imprenditoria immigrata sul territorio, obiettivi che possono essere perseguiti congiuntamente con le Istituzioni, come ad esempio la confermazione dell’operatività degli imprenditori immigrati già attivi e incentivare la nuova vocazione imprenditoriale giovanile, magari cercando di concentrare l’attenzione, non tanto su quelli che sono business tradizionali, bensì business che sono caratterizzati dal un buon livello di innovazione e ad alto valore aggiunto, favorire la maggiore apertura a forme societarie agevolate e diverse, che possono eventualmente introitare più forza lavoro; garantire a questi imprenditori nuove forme di accesso al credito e un supporto a forme imprenditoriali di più rilevanti portata; in definitiva creare tutte quelle facilitazioni che possano incentivare delle opportunità a questi soggetti e creare degli spunti per le aziende italiane.
Per concludere, le abilità lavorative e un alto livello di istruzione di questi soggetti, ma soprattutto la domanda nel paese ospitante devono essere i cardini sui fondare anche un vero processo di integrazione sia da un punto di vista umano, che sociale e giuridico.
Sulle metriche anche qui i dati ci dicono che la potenzialità sul target è di un +0,30% di crescita di occupazione rispetto addirittura all’imprenditoria italiana. Le mie ipotesi conducono a pensare che il progetto funziona in fase pilota per poi essere scalabile rapidamente anche sul tutto il territorio nazionale, in virtù della forte partnership con Caritas Italiana, Fondazione Migrantes per iniziare e quindi replicabile, nonchè può diventare modello di SOCIAL BANKING anche per qualsiasi istituto bancario che volesse adottarlo, come Banca Prossima ha fatto con Il suo Terzo Valore.