Dovessi darvi la definizione letterale i dati sono aperti, non perché debbano essere solo consultati, ma l’apertura si contraddistingue nell’utilizzo che se ne fa di questi, nel cogliere il significato dei dati stessi e una volta studiati ed elaborati, ridistribuirli nel territorio, nei servizi a favore dei cittadini, nella condivisione; condivisione che può avvenire solo se è pienamente accessibile da parte di tutti. Rendere dei dati accessibili, favorisce la trasparenza necessaria affinchè gli individui possano essere coinvolti completamente nella Governance di un territorio e nel coinvolgimento dello sviluppo di servizi che possano essere portatori di valore aggiunto e di innovazione.
Un dato è aperto nel momento in cui chiunque ha la possibilità, attraverso il proprio essere digitale e strumenti anche informatici, può rielaborare a favore della collettività. Un concetto così aperto di utilizzo delle informazioni, conduce verso una forma digitale di democrazia. Si pensi agli open data nella pubblica amministrazione: abbiamo fatto menzione al concetto di trasparenza e di coinvolgimento del cittadino, ciò conduce praticamente ad un miglioramento delle scelte pubbliche verso la collettività, “consente forme di partecipazione attiva dei cittadini, in quanto un’organizzazione in tal senso, basata sul principio che le informazioni non sono di proprietà dell’istituzione o dell’ente, responsabilizza lo stesso cittadino al giusta fruizione dell’informazione in termini di miglioramento e accessibilità dei servizi quotidiani”. Possiamo immaginare gli open data riutilizzati “in mercati già esistenti, oppure impiegati in mercati nuovi, creano servizi e nuovo beneficio economico; sono catalizzatori di nuove idee, volano di sviluppo sostenibile e di innovazione”. Questi pochi concetti, già da soli credo rendano perfettamente il perché della loro importanza, ma soprattutto il perché della necessità del loro riutilizzo e reimpiego, soprattutto perché raccolti in un arco di temporale necessario a capire e orientare lo sviluppo ad esempio di un territorio. Così esposti, senza dubbio rappresentano una grossa opportunità, ma come in tutte le cose, il rovescio della medaglia è rappresentato anche da evidenti criticità. Il fatto che siano strumento di partecipazione e di condivisione, non vuol dire però che ogni singolo cittadino sia in grado di acquisire le giuste informazioni da poter sviluppare. La grande sfida dunque è rappresentata non nella apertura e diffusione, bensì nella capacità e nell’ aver i giusti mezzi per essere in grado di trasformare le informazioni in utilità. I cittadini sanno veramente leggere, elaborare e contestualizzare questi dati e queste informazioni? Come si stanno muovendo dunque le istituzioni pubbliche e private, gli enti, in tal senso?
Ad esempio, la prima forma più semplice è la diffusione dei Bilanci delle Pubbliche amministrazioni; le migliori pratiche di utilizzo, le troviamo anche nell’impiego dei dati per l’efficienza energetica, nella sanità, nella mappatura per servizi collaborativi.
Al di la di programmazioni, i progetti, le relative applicazioni e i risultati non completamente apprezzabili, fanno sì che ancora si sia indietro rispetto alle potenzialità offerte da questa forma di innovazione digitale. Ritornando al concetto di open che abbiamo evidenziato poc’anzi, le iniziative messe in moto dalle pubbliche amministrazioni in gran parte, ma anche dal mercato in taluni casi, per svariati motivi ancora, a mio parere, non consentono un’analisi dettagliata sul grado di fruizione e di quanto possano aver inciso sul miglioramento di servizi e coinvolgimento della cittadinanza nelle politiche di govenance o addirittura di politiche economiche e sociali. Il problema, ritengo, non sia tanto nella mancanza o meno di digitalizzazione (è pur vero che i piccoli centri ad esempio della mia provincia sono ancora distanti anni luce dalle prime applicazioni), il problema va considerato in termini del riutilizzo e della rielaborazione. I cittadini sono veramente in grado di contestualizzare e rielaborare questi dati? I cittadini sono stati messi nella condizione di avere gli strumenti adatti affinchè, con la creazione di partecipazione attiva e una nuova forma di espressione di comunity, possano beneficiare in termini di miglioramento e accessibilità dei servizi quotidiani?
Recentemente, partecipando ad un workshop in occasione del Forum PA 2015, ho avuto modo di seguire quello che amministrazioni di altre regioni Italiane hanno messo in cantiere; nella maggior parte dei casi è vero che gli esempi sono quelli di grandi città efficienti o meglio ancora delle grandi metropoli italiane, ma pensare una sorta di replicabilità in piccolo, non trovo che sia una cosa poi così folle, soprattutto in un territorio come quello della mia provincia di Frosinone. Si può partire ad esempio dal più basilare degli utilizzi sugli open data, come la valorizzazione degli stessi per le necessità operative di un comune ( mappatura delle strade, accessibilità dei servizi) fino ad arrivare a nuove forme di mobilità: servizi pubblici di car sharing, bike sharing, scooter sharing; (ad arrivare) a nuove forme di lavoro ed impresa (coworking, fablab, registro makers), a nuove forme di governace (registri di condivisione e di innovazione) a nuove forme di politiche sociali (crowdfunding civico e vicinato sociale). E di piccoli accenni a queste forme di innovazione, ormai di grande diffusione, possiamo fortunatamente riscontrale anche qui, nel mio territorio.
La provincia di Frosinone è terra del fare, pensare impiego dei dati aperti per essere utilizzati e rielaborati dagli artigiani di ultima generazione, continua per me a non essere inverosimile ad esempio. Circa un anno fa, con alcuni amici e per un lavoro di gruppo, studiammo un sistema di marketing digitale tramite piattaforma, che potesse consentire il rilancio delle antiche arti dei mestieri nostrani, per mezzo dell’impiego dei giovani conosciuti a livello Europeo, come i così detti NEET; coloro i quali sfiduciati dal futuro, già in tenera età rinunciano allo studio, ad un lavoro, a qualsiasi forma di coinvolgimento nelle politiche economiche e sociali e dai dati resi pubblici da uno studio condotto, ne venne fuori che in provincia è una problematica di grosso rilievo.
Senza dubbio gli open data sono una opportunità, come abbiamo visto nella pubblica amministrazione e nelle politiche del lavoro, lo possono essere anche nel sociale. Incominciano ad essere ormai di dominio pubblico fenomeni come il vicinato sociale o le strade sociali, dove alla base di tutto c’è il coinvolgimento e la condivisione, nessuno viene lasciato solo a se stesso, ma tutto viene vissuto in pieno spirito di collaborazione. Altro esempio di rilevo è il crowdfunding civico; si tratta di una soluzione strutturata di raccolta fondi online per enti pubblici e amministrazioni locali, associazioni, organizzazioni no profit. L’obiettivo è quello di finanziare progetti legati all’arte, alla cultura o comunque iniziative correlate a servizi innovativi (trasporti) e di pubblica utilità. Io stessa ho notato che attraverso questo innovativo strumento di finanziamento dal basso, si possono trovare soluzioni a problemi di grande rilevanza, come quello dell’esclusione sociale dovuta alla crisi economica che stiamo vivendo. E da qui l’idea di piattaforma di crowdfunding basata sul prestito sociale, SociallendingItalia.net, che spero di lanciare quanto prima proprio dalla mia città della provincia frusinate, Sora, il cui obiettivo è quello di creare una rete di comunità fatta di individui disposti a prestare modiche somme di denaro ad una rete di giovani, da subito giovani stranieri del nostro territorio, per poi aprirmi ai nostrani, bisognosi di un piccolo sostegno economico per realizzare le loro idee di piccola impresa, senza fornire servizi di intermediazione finanziaria.
Cosa fare dunque? Secondo il mio punto di vista, quello che manca ora ad una vera e propria innovazione digitale sono gli strumenti adeguati e le giuste applicazioni. Si fa presto a dire che he le nostre giovani generazioni siano definibili NATIVI DIGITALI; sinceramente nutro qualche dubbio, perché, è vero che c’è un dilagante utilizzo di strumenti digitali, ma è un grande utilizzo senza competenze effettive; dove intervenire dunque?: nelle scuole di ogni ordine e grado, affinchè possano creare individui preparati, in grado di trarre informazioni utili dai dati pubblici e riutilizzabili, in grado di saperli leggere, elaborare, contestualizzarli; interventi di maggiore trasparenza, accessibilità e fruizione con sistemi semplici per non lasciare indietro neppure generazioni di individui con qualche anno in più; d’altra parte il divario digitale generazionale è evidente a chiunque: abbiamo ancora una sostanziosa fascia di persone che non sanno neppure dove sta di casa internet, figuriamoci se può accedere ai big data o a qualsiasi informazione digitale.